Nel Medioevo il consumo alimentare di pavone continuò presso le classi più agiate (in particolare presso i feudatari) dove costituiva un piatto molto ricercato. E' interessante come spesso prima del suo consumo avesse luogo a un vero e proprio rituale legato all'etica cavalleresca: la dama più bella e più nobile presentava il pavone, ancora vivo (spesso su di un grande vassoio o piatto da portata) oppure già morto e pronto per essere mangiato, al padrone di casa o, talora, a personaggi rinomati per coraggiose imprese (cavalieri), che dovevano tagliare il volatile solo dopo aver pronunciato un voto su di esso (il pavone era considerato la "carne dei coraggiosi"), in genere il più solenne, mentre le dame facevano da testimoni (ci verrebbe da pensare che si tratti di una lontana influenza indiana dove il pavone, come abbiamo visto, è associato anche al dio della guerra Murugan). Un legame con questa pratica potrebbe essere il ritrovamento archeologico (il primo della specie: in Svezia, infatti, la prima menzione scritta del suo allevamento si ha solo nel XVI secolo), avvenuto a Gokstad in Norvegia, di un maschio di pavone seppellito assieme ad altri beni nella nave-tomba di un importante re vichingo (900-905 d.C.). Il fatto che il pavone fosse seppellito assieme ad un uomo importante la cui dote principale, secondo l'etica vichinga, dovette essere la forza guerriera, testimonia, vista l'estraneità con le pratiche sepolcrali cristiane (dove, come sappiamo, aveva un altro significato), che venisse visto anche dai vichinghi come un animale coraggioso e belligerante. La scena del "giuramento del pavone" (sembra che nel 1453 Filippo il Buono, duca di Borgogna, ne avesse fatta una con la promessa di liberare Costantinopoli presa dai turchi), oltre che narrata dal cronista francese Enguerrand de Monstrelet (1390 circa-1453), è descritta in numerose versioni (pertinenti sempre ai secoli XIV e XV) de "Les Voeux du paon" ("I voti del pavone"), scritto, fra il 1310 e il 1315, in circa 8000 versi da Jacques de Longuyon e innestato sulla leggenda medievale di Alessandro Magno e della sua meravigliosa incursione nel cuore dell'India; il fortunatissimo poema di Jacques ebbe due continuazioni nel corso del XIV secolo: il "Li restor du paon" di Jean Brisebarre (prima del 1340) e il "Parfait du Paon" di Jean de Le Mote (1339-40). Sulla base di questa produzione narrativa si sarebbe poi ispirato il Boccaccio nel suo "Filocolo" dove, tra le tante vicende, si narra di un pavone avvelenato servito (come vuole il galateo medievale da "gentilissima e bella pulcella") durante un banchetto.
(continua nel prossimo articolo...)
Marco Miosi (antropologo culturale)