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15 ottobre 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XXIIIa parte)

E' anche vero però che il pavone durante il Medioevo andò incontro ad un processo ambivalente per cui, oltre ad essere visto come creatura immortale e divina (soggetto iconografico delle chiese, oltre che nella sua interezza, anche sotto forma di penna, ripetuta come motivo decorativo nei ricami), attributo del Cristo e spesso di alcuni santi e della Madonna e capace di curare la cecità in virtù dei suoi "occhi", venne disprezzato e "demonizzato" tanto da far nascere la credenza che le penne di questo volatile portassero sfortuna: questa superstizione è rimasta operante nel folclore europeo (specie nel contesto rurale della Gran Bretagna ed dell'Italia, dove il possesso di queste penne in casa è un presagio di grave sventura per il proprietario - quindi non vanno mai regalate - e dove si crede che i bambini non crescano sani in ambienti impreziositi dal piumaggio del pavone - e si evita perciò in tutti i modi che i piccoli vi giochino con esse -) e potrebbe essere connessa al timore che gli "occhi" delle penne caudali portassero il malocchio (elemento tipico del folclore mediterraneo) e "vigilassero", ricollegandosi forse al mito egizio/greco-romano di Argo e dei suoi "cento occhi" e a quello del demone mesopotamico e poi ebraico di Lilith; nell'Asia orientale (di influenza induista e buddista), invece, si ritiene esattamente il contrario e le penne del pavone sono considerate protettive e di buon auspicio. Avendo però questa credenza, unita a quella della presunta velenosità delle sue carni, una diffusione essenzialmente subalterna ci viene il sospetto che a diffonderla siano state le classi dominanti (che detetevano il privilegio dell'allevamento e del consumo di questo fasianide) per evitare ogni sorta di furto o di consumo alimentare "illegale" del pavone da parte dei ceti più poveri vista la rarità e la preziosità di questo volatile. Il richiamo stridulo del pavone, inoltre, che è stato descritto come a metà strada tra le urla di una vecchia isterica e il raglio di un asino, venne inteso dalle stesse tradizioni medievali europee come demoniaco e di cattivo presagio (a partire da Isidoro di Siviglia, del VI-VII secolo, si diffuse la paraetimologia che voleva il latino pavo derivare da pavor "paura", per via del suono "pauroso" che emetteva l'animale), ad esempio dallo scolastico francese Ugo di San Vittore (1096-1141) nel suo "De bestiis et aliis rebus" (I, 55): «Richiama la terribile voce del volatile il predicatore che, per spaventare i peccatori pronostica loro, in tono minaccioso, il fuoco inestinguibile della Geenna». Nell'ambito della stregoneria, invece, alcuni maghi interpretarono il suono emesso dal pavone come una ripetizione del sacro nome di Iao (Yahveh), letto Aio, e da questo ne trassero un potente amuleto (costituito da una pietra incisa con l'uccello che si reggeva sopra una tartaruga di mare e la parola magica Iao scritta nel campo; un'altro celebre talismano medievale capace di scacciare gli spiriti maligni era costituito dal sangue di pavone). E' probabile che questo processo di "demonizzazione" del pavone fosse frutto di influenze persiane (mazdeiste), in seguito passate anche nell'islam popolare dove, come vedremo, questo fasianide è visto come creatura almeno in parte "demoniaca". Per gli alchimisti, invece, la coda a ventaglio del pavone (cauda pavonis) sarebbe stata utile a trasformare i metalli di base in oro. Nelle tradizioni esoteriche infatti questo fasianide è un simbolo di totalità in quanto riunisce tutti i colori nel ventaglio della coda: indica l'identità naturale dell'insieme delle manifestazioni e la loro fragilità poiché esse appaiono e scompaiono altrettanto rapidamente quanto la coda del pavone che fa la ruota e si richiude.

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale) 

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