I naturalisti antichi, ad esempio il medico greco Galeno (129-216 d.C.), consideravano la carne del pavone relativamente fibrosa e indigesta e forse a partire da questa constatazione ne traevano le conclusioni che in particolari condizioni ambientali non imputridisse e il corpo si conservasse senza perdere la forma; in realtà appaiono evidenti in questa credenza gli elementi "simbolici" sull'immortalità del pavone (di derivazione pitagorica e ancora prima induista e buddhista), ispirata alla muta annuale del piumaggio, al timbro duale della voce e alla presenza continua di questi uccelli nella fonte sacra o ai piedi dell'albero della vita. In base a queste credenze, i romani fecero del pavone il simbolo della incorruttibilità e, per estensione, dell'immortalità. Lo si raffigurava sui rilievi dei sarcofagi e sugli affreschi degli ipogei come promessa di una vita immortale dell'anima nell'aldilà: per esempio nell'affresco parietale del mausoleo della Quadriga o in quelli dei Valeri e degli Aeli nella necropoli vaticana. In uno dei cubicoli dell'ipogeo della via Latina, a Roma, è rappresentata la classica scena di Cleopatra morente: al di sotto compaiono due pavoni intorno a un vaso traboccante di fiori, allusione a una nuova eterna vita della regina morsa dal sacro ureo. Era divenuto inoltre l'uccello psicopompo delle imperatrici e durante i loro funerali si usava lanciare un pavone sulla pira a simboleggiare il viaggio della defunta verso l'aldilà, come si lanciava un'aquila su quella dell'imperatore. Ai tempi di Giustiniano I di Bisanzio (482-565), ultimo imperatore bizantino educato nel seno di una famiglia di lingua e cultura latine, forse a seguito di influenze persiane, dove il pavone rappresentava la regalità (oltre alla bellezza e all'immortalità) e forse anche per via della sua fede cristiana (dove il pavone è simbolo del "Re-Cristo" dominatore e sovrano del mondo), questo volatile "sostituì" l'aquila quale simbolo di gloria immortale dell'imperatore. Dopo la vittoria su vandali e persiani, infatti, Giustiniano si fece incoronare con la toupha, una bassa corona sormontata da piume di pavone disposte a ventaglio, ancora in uso a corte nel X secolo. Giustiniano la portava in una colossale statua di bronzo eretta in suo onore a Costantinopoli nel 543 o 544. L’imperatore vi appariva in abiti militari con il globo sormontato dalla croce nella sinistra e la destra rivolta verso Oriente per intimare ai persiani di non invadere l’impero. La statua venne fusa dai turchi nel Cinquecento, ma se ne conserva un disegno sia pure piuttosto approssimativo. Un altro esempio simile, inoltre, è possibile rinvenirlo nella cattedra vescovile di Massimiano (498-556), trono episcopale del primo arcivescovo di Ravenna (dal 546 al 557), la cui nomina coincise con la presa della città da parte dei bizantini di Giustiniano e con la nomina a capitale d'Italia della stessa nel 554. Nel trono troviamo, tra le tante decorazioni in rilievo che caratterizzano quest'opera di arte paleocristiana, due pavoni scolpiti nella placchette di avorio che ricoprono l'intera struttura in legno. Massimiano ebbe stretti legami con la corte imperiale di Costantinopoli per via della crescente importanza cittadina di Ravenna quale capitale d'Italia e del suo prestigioso ruolo di rappresentante del potere imperiale nella città, come testimoniato dalla sua presenza accanto all'imperatore nel mosaico di Sant'Apollinare; per tale motivo è plausibile che la cattedra sia stata donata da Giustiniano stesso e che quindi sia stata realizzata direttamente a Costantinopoli. Che il pavone fosse un animale molto apprezzato da Giustiniano e dai cristiani dell'epoca (VI secolo) lo si può dimostrare dal fatto che una delle prime apparizioni di questo volatile nell'arte basilicale cristiana si ha proprio nella basilica di Giustiniano a Sabratha (Tunisia) dove appare nel mosaico pavimentale sia un pavone con lo strascico chiuso che quello con la coda aperta entrambi associati all'albero della vita.
(continua nel prossimo articolo...)
Marco Miosi (antropologo culturale)