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10 agosto 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XVIIa parte)

Il simbolo negativo del pavone come animale vanitoso, che abbiamo visto in alcune favole della tradizione greco-romana (e ancor prima buddhista), sarebbe una trasposizione in chiave morale di un atteggiamento di questo uccello, sottolineato ad esempio dallo stesso Eliano: «Il pavone sa di essere il più bello tra gli uccelli e sa anche dove risiede la sua bellezza: è fiero di tale bellezza che lo rende pieno di alterigia. [...] Si accorge delle lodi; e come un bel ragazzo o una donna avvenente cercano di mettere il più possibile in mostra i pregi del loro corpo, così anche il pavone solleva le sue penne con eleganza, progressivamente, e assomiglia a un prato fiorito o a un disegno variopinto da molteplici colori, e i pittori devono sudare per rappresentare le sue caratteristiche speciali. Mostra quanto sia ben disposto a esibirsi lasciando che i presenti si sazino dello spettacolo che offre di sé; si agita non stancandosi di mostrare il suo variopinto piumaggio e ostentando con molto sussiego la sua elegante divisa, superiore alle vesti dei Medi e alle stoffe variegate dei Persiani». Anche Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), oltre ad aver riportato la concezione magica secondo la quale è immune da stregoneria colui che porta un amuleto fatto con una pietra di ametista (su cui sarebbero scritti i nomi del sole e della luna) legata al collo con penne di pavone e di rondine, riferì una serie di comportamenti dell'animale letti dai suoi contemporanei come indice di "vanità": «Quando il pavone viene lodato allarga i suoi colori splendenti come pietre preziose, soprattutto ponendosi controsole perché così risplendono con più fulgore. Nello stesso tempo, incurvando la coda a forma di conchiglia, cerca effetti di ombra per gli altri colori, che nell'oscurità brillano più chiaramente, e raccoglie tutte le sue penne munite di occhi e gode che questi siano visti. Lo stesso animale perde però la coda ogni anno al cadere delle foglie; allora, finché non  gliene rinasce un'altra insieme con la fioritura primaverile, pieno di vergogna e di dolore se ne sta nascosto. [...] Dalle nostre fonti questo animale viene definito non soltanto vanitoso, ma anche malevolo, così come si definisce modesta l'oca; in effetti alcuni autori hanno aggiunto anche questo tipo di rilievi che io non condivido». Da queste annotazioni affiorano le caratteristiche "umanizzate" di questo uccello che avrebbero ispirato l'immaginario comune a venire, suscitando i simboli della vanità, della superbia, dell'orgoglio, ricordati da molti proverbi e modi di dire italiani ed europei più in generale e dal verbo "pavoneggiarsi" o "fare il pavone", cioè mostrare grande compiacimento di sé stessi, assumendo un atteggiamento tronfio e borioso. Lo stesso Plinio aggiungeva inoltre che i pavoni maschi sono così incontinenti sessualmente che giungono a rompere le uova, spinti dal desiderio delle femmine che stanno covandole: «Perciò esse le depongono di notte e in luoghi nascosti o stando in un punto elevato, ma le uova stesse si rompono se non vengono accolte su uno strato di materiale nuovo. Un solo maschio è sufficiente per cinque femmine. Quando le femmine sono una o due, la riproduzione viene danneggiata dalla lascivia». Queste "false opinioni" sul pavone, al di là della sovrapposizione di elementi simbolici, sono frutto della costatazione dei bassi tassi riproduttivi del pavone, dato che le femmine di questo fasianide depongono le uova al massimo tre volte l’anno, in un numero di cinque, quattro e tre uova. Le tre deposizioni sono possibili soltanto se le uova sono tolte e date da covare a galline, altrimenti si ha una sola figliata, con non più di quattro o cinque pavoncini per anno.

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale) 


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