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03 agosto 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XVIa parte)

Un altro racconto sul pavone ci proviene invece da Claudio Eliano (165 circa - 235 d.C.), filosofo e scrittore romano in lingua greca, che sovrappose mitologia greco-romana a quella egizia: «Un giorno un faraone ricevette in dono un pavone indiano. Ne fu così colpito che decise di non allevarlo come animale decorativo per il suo palazzo, rifiutandosi anche di mangiarlo: volle donarlo al tempio di Zeus protettore perché era degno di quel dio. Ma un giovane dissoluto e ricco decise di impadronirsene per farlo cucinare dai suoi cuochi. Il pavone era considerato un cibo raffinato per chi amava ostentare la propria ricchezza e potenza. Per quel furto sacrilego il giovane ghiottone offrì una lauta ricompensa a un servitore del tempio e per invogliarlo gli anticipò una parte della somma. Costui, allettato dalla mancia, si recò nel luogo dove si trovava il pavone. Ma fu contrastato da un aspide che si rizzò furiosamente contro di lui facendolo arretrare. Il servo, spaventato, sarebbe fuggito se il giovinastro non lo avesse richiamato al "dovere"; sicché il servo riuscì a scansare il rettile avvicinandosi al pavone. Ma l'uccello sfuggì alla cattura levandosi in volo e andando a posarsi non in un luogo elevato ma al centro del tempio per poi fissare gli insidiatori con un atteggiamento spavaldo, quasi volesse far comprendere loro di essere troppo intelligente per cadere in trappola. Fallito il tentativo, il giovane pretese che il custode gli restituisse il denaro che gli aveva anticipato. Ma costui si rifiutava dicendo che aveva fatto tutto quel che era in suo potere per catturarlo, e non poteva certo piegare la volontà divina. I due cominciarono a litigare urlando a tal punto che arrivò il sommo sacerdote domandando loro quale fosse il motivo di quella disputa all'interno del tempio. Quando lo seppe, fece bastonare e cacciare dal luogo sacro il giovane impudente mentre il servo disonesto fu condotto dal prefetto che gli inflisse una pena severa. Il sacrilego ghiottone sarebbe poi morto fra atroci tormenti per avere inghiottito l'osso di un altro uccello. Quanto al pavone, non fu più visto né vivo né morto, ma secondo una diffusa diceria, sarebbe scomparso misteriosamente dopo avere vissuto cent'anni». Nel II secolo d.C. Artemidoro di Daldi, l'autore greco di uno dei pochi trattati del mondo antico a noi pervenutoci sull'interpretazione dei sogni dal titolo "Onirocritica", sostenne che gli animali dall'aspetto bello e aggraziato, come pappagalli, pernici e in particolare pavoni, alludevano nei sogni a persone amanti del bello. E questo stesso simbolismo lo ritroviamo anche nel Medioevo, come testimonia Boccaccio narrando nella "Vita di Dante", che un giorno la madre dell'Alighieri vide in sogno, durante la gravidanza, il figlio che doveva mettere al mondo: stava giocando con un alloro al bordo di una limpida fontana bevendo a quelle acque e mangiando le bacche dell'albero apollineo. Poi si trasformava in un pastore che nel tentativo di afferrarne un ramo cadeva a terra per rialzarsi infine trasformato in un pavone. Un detto popolare ampiamente diffuso nella tradizione europea, sostiene infatti che "colei che sogna un pavone avrà un bellissimo figlio".

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale) 


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