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30 luglio 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XVa parte)

Il pavone, inoltre, compare in alcune favole antiche attribuite al greco Esopo (620 circa a.C. - 560 circa a.C.) e poi trasmesse e leggermente cambiate da Fedro (20 circa a.C.-51 circa d.C.), il celebre favolista romano. In realtà non è possibile asserire che le favole esopiane risalgano esattamente al VI sec. a.C. e siano state scritte da lui in quanto, non solo la stesura originaria delle sue favole subì alterazioni e contraffazioni di ogni genere, ma secondo alcuni studiosi lo stesso Esopo non sarebbe altro che un nome sotto il quale è stata tramandata una produzione favolistica anonima, scritta in tempi diversi. Due favole, presenti nel canone "originale" esopiano, ci sono pervenute ed entrambe si rifanno al simbolismo del pavone quale animale bello ma vanitoso e in definitiva "perdente" rifacendosi ad una tradizione già indiana (cfr. la storia buddhista "Nacca Jâtaka"). La prima è nota col titolo di "Il pavone e la gru": «Il pavone rideva della gru, e ne criticava il colore, dicendo: "Io son vestito di porpora e d'oro, ma tu non hai nulla di bello sulle ali". "Ma io", rispose l'altra, "canto vicino alle stelle e volo nell'alto dei cieli. Tu invece, come un galletto, giri per terra in mezzo alle galline". E' meglio essere mal vestiti, ma degni d'ammirazione, piuttosto che vivere ingloriosamente, facendo pompa delle proprie ricchezze». La seconda è nota invece col titolo di "Il pavone e la cornacchia": «Gli uccelli deliberavano sulla scelta del loro re, e il pavone pretendeva d'essere eletto per la sua bellezza. Ma, mentre gli altri si accingevano a votare per lui, la cornacchia disse: "E se ci inseguirà l'aquila, che aiuto potrai darci, tu, quando sarai diventato re?". La favola mostra che non ha torto chi prima di passar dei guai, si premunisce in vista dei futuri pericoli». Fedro, invece, scrisse due favole connesse con il pavone: nella prima, Esopo viene presentato come narratore e quindi mediatore del racconto e la vicenda deriva in effetti dalla contaminazione di due testi dell'autore greco (quello sul gracchio che raccoglie le piume degli altri uccelli per farsi bello e quello sul gracchio che disprezza i compagni della sua razza e aspira a vivere con i corvi), mentre la seconda sembra essere una sua creazione originale o meglio la raccolta di una favola orale da lui trascritta e adattata. La prima favola si chiama "La cornacchia e il pavone" (e ricorda vagamente la competizione tra il corvo e il pavone nella storia buddhista "Bāveru Jātaka"): «Per non essere tentati di gloriarsi dei beni altrui e accettare piuttosto il proprio stile di vita, Esopo ci tramandò questo apologo. Un corvo gonfio di vana superbia raccolse le penne che erano cadute a un pavone e se ne ornò, poi si mise in mezzo alla razza dei bei pavoni, disprezzando i suoi, ma i pavoni strapparono via all’uccello sfacciato le penne e lo cacciarono a colpi di becco. Malconcio e triste prese a tornare tra la propria razza, ma fu scacciato con grave umiliazione. Uno di quelli che aveva disprezzato gli disse: “Se ti fossi accontentato delle nostre sedi, e avessi accettato quello che ti dà la Natura, non avresti né subito quell’oltraggio né nella disgrazia patito questo rifiuto”». Da questa favola sarebbe poi nato il detto italiano noto come "coprirsi con le penne del pavone" indicando l'attribuirsi i meriti altrui. La seconda favola si chiama invece "Il pavone e Giunone": «Una volta un pavone andò da Giunone, lamentandosi che non gli avesse attribuito il canto dell'usignolo: "L'usignolo è ammirevole per tutti gli uccelli, io invece vengo deriso non appena emetto la mia voce!". Allora la dea, per consolarlo, disse: "Ma tu lo superi in bellezza e in grandezza; lo splendore dello smeraldo rifulge sul tuo collo, e dispieghi con le piume variopinte una coda tempestata di gemme". "A che scopo", disse, "il destino mi ha dato una muta bellezza, se sono inferiore nel canto?". La dea rispose: "Le parti vi sono state assegnate ad arbitrio del fato: a te la bellezza, la forza all'aquila, all'usignolo la melodiosità, la profezia al corvo, i presagi favorevoli alla cornacchia. E tutti sono contenti delle proprie doti. Non pretendere quello che non ti è stato dato, perché la speranza delusa non ritorni in lamento"».

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale)


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