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07 luglio 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XIIIa parte)

A partire dall'inizio del II secolo a.C. i pavoni apparvero per la prima volta a Roma (provenienti forse inizialmente dalla Magna Grecia "pitagorica", posto che qui venissero allevati quali animali cultuali, oppure fatti pervenire grazie ai commerci dalla Grecia) dove quest’animale era stato per lungo tempo sconosciuto e il "ruolo" di uccello sacro alla dea Giunone veniva ricoperto dalle oche nel Campidoglio, dove c’era il tempio ad essa dedicato. Sembra che il primo ad introdurre a Roma i pavoni, ma soprattutto ad allevarli in gran numero, sia stato Marco Alfidio Lurcone (nato circa 61 a.C.-?), un magistrato della Repubblica romana, imparentato con l'imperatore romano Tiberio (42 a.C.-37 d.C.), il quale tra l'altro diventò così patito di questi volatili che, come ci informa lo scrittore Svetonio (70-126 d.C.) nel suo "De vita Caesarum" ("Le Vite dei [dodici] Cesari"), arrivò a condannare a morte un pretoriano perché aveva osato rubarne uno da un giardino. Ingrassando e vendendo pavoni, Lurcone ne ricavò rilevanti ricchezze da questo commercio: si dice che guadagnasse 60.000 sesterzi all'anno grazie ad essi. Questo volatile, considerato una meraviglia della natura, fu presto allevato nei recinti dei templi e nei giardini delle classi benestanti per fini sia ornamentali che culinari. In latino venne chiamato pāvo (raro pāvus; pāva "pavonessa"), derivato direttamente dal greco ταώς/ταών (taós/taón) con scambio della t in p (secondo alcuni studiosi un simile fenomeno sarebbe avvenuto anche per la voce palma dall'ebraico tamar con conversione della t in p) e forse indice di un'ulteriore tentativo di rendere onomatopeicamente il richiamo caratteristico di questo volatile che veniva reso dai romani con il verbo paupulāre, che non a caso vede la ripetizione del suono p. I latini lo chiamavano anche avis Iunonia o ales Iunonia, ovvero "uccello di Giunone" (antica divinità romana del matrimonio e del parto poi assimilata e sovrapposta ad Hera) mutuando dai greci tutta la sua simbologia: le sacerdotesse della dea portavano ventagli di penne di pavone, come simboli della presenza divina di Giuinone e il pavone spesso veniva raffigurato posto ai piedi della dea già nel 250 a.C. Specialmente a partire dalla fine del III secolo a.C. il pavone cominciò ad essere regolarmente raffigurato sul rovescio di molte monete e medaglioni sia greche che romane. A Samo, il dritto raffigurava in genere la dea Hera e il rovescio un pavone, mentre nelle monete imperiali romane si preferiva porre il ritratto di mogli o figlie di imperatori (la loro apoteosi) sul dritto e Giunone con un pavone ai suoi piedi sul rovescio; occasionalmente (ad esempio in un medaglione di Faustina II, la moglie di Marco Aurelio) il pavone viene cavalcato da un bambino, probabilmente da associare a un giovane Dioniso come nella statua del serapeo di Menfi (non possiamo ancora una volta non pensare ai legami iconografici con il vāhana induista). L'uccello compare anche nei gioielli antichi (per esempio un anello con un'aquila che attacca un pavone, una gemma che mostra la morte di Argo osservata da un pavone su un albero). In vari tipi di arte romana, specialmente di epoca imperiale, il pavone fa la sua comparsa come elemento simbolico e decorativo spesso riprodotto in marmo o bronzo. Una delle apparizioni più antiche è quella di due statuette di terracotta del III sec. a.C., provenienti da Paestum (città conquistata dai romani nel 273 a.C., ma fondata dai greci sibariti all'incirca nel VII sec. a.C.), in un’area collocata a sud del Foro, dove in entrambe viene ritratto un pavone cavalcato da un individuo di sesso femminile con un grande tamburo nella mano destra: secondo alcuni studiosi queste statuette andrebbero collegate ad un culto della Magna Mater, verosimilmente all'iconografia greca di Hera con il suo pavone, dal momento che a circa 9 km dalla città sorgeva l'Heraion, un antico santuario fondato dai sibariti nel VI secolo a.C. in onore della dea della fertilità (ancora un altro esempio iconografico che rimanda al vāhana induista associato questa volta non a un bambino ma ad una donna).

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale)


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