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30 giugno 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (XIIa parte)

Nell'Italia meridionale colonizzata dai greci (Magna Grecia), i pavoni comparvero se non in carne ed ossa quantomeno nella simbologia e nell'iconografia probabilmente già tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., nell'epoca in cui visse il filosofo greco Pitagora (570 circa-495 circa a.C.). Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed Erodoto ci narrano di come Pitagora fosse nato nell'isola di Samo dalla quale, dopo presunti e probabilmente leggendari viaggi in Egitto e Babilonia, si trasferì nella Magna Grecia dove fondò a Crotone, all'incirca nel 530 a.C., la sua scuola. E' determinante la circostanza che il filosofo fosse nato proprio nell'isola di Samo, dove secondo le nostre conoscenze attuali i pavoni fecero la loro comparsa proprio negli anni della tirannia di Policrate (538 circa-522 a.C.)  e divennero tanto associati a quest'isola (evidentemente per via della loro apparizione precoce rispetto alla Grecia continentale e per via dell'importante ruolo cultuale che ricoprivano presso il tempio della dea Hera), che il già ricordato scrittore greco Ateneo, sulla scorta di Menodoto di Samo, riteneva questi uccelli originari di quella località ellenica. Nell'ambito della filosofia occidentale, Pitagora e la sua scuola sembrano essere stati fra i primi a sostenere la dottrina della reincarnazione o metempsicosi (seppure sulla base di culti orfici preesistenti, delle sette religiose d'Egitto e di Babilonia, a sua volta frutto di evidenti influenze indiane) e l'uomo, secondo la loro visione del mondo, è precipitato sulla terra a causa di una colpa originaria, per via della quale è costretto a trasmigrare da un corpo a un altro, non solo di umani ma anche di piante e animali. Per liberarsi da questa catena di morti e rinascite occorre ritornare allo stadio di purezza originaria dedicandosi alla contemplazione disinteressata della verità, praticando dei rituali esoterici di iniziazione e di purificazione. Per i pitagorici, l'anima che, liberata dal corpo, vola verso l'aldilà viene simboleggiata da un pavone (per questo ne avevano proibito - come in India - il consumo alimentare in quanto, dicevano, avrebbe portato sfortuna il cibarsene) e al riguardo evidentissimi sono i legami con la filosofia induista e in particolare buddhista dove questo volatile, distruggendo i serpenti, simboleggia il distacco dai legami corporei e dal tempo e quindi l'immortalità. E' probabile che questa simbologia sia stata attinta da Pitagora a Samo nel periodo in cui quest'isola sotto Policrate aveva intensificato i suoi rapporti con l'Egitto e il Levante. L'associazione tra il pavone e il pitagorismo in un contesto di metempsicosi, la troviamo nel proemio degli "Annales" (poema epico sulla storia di Roma scritto dalla fine del III agli inizi del II secolo a.C.), dello scrittore romano Quinto Ennio (239-169 a.C.): il poeta addormentato narra che sul Parnaso gli apparve in sogno il fantasma piangente di Omero che, dopo avergli dato lunghe spiegazioni intorno all'ordine dell'universo e alle trasmigrazioni delle anime attraverso un proprio ciclo di vite, gli avrebbe detto di essersi incarnato dopo la morte prima nel corpo di un pavone («mi ricordo di essere diventato un pavone [memini me fiere pavom]»), poi nel corpo di Pitagora (ma è chiaramente un'interpolazione posteriore erroneamente aggiunta dal copista per meglio giustificare la reincarnazione dell'anima, secondo l'insegnamento pitagorico) e infine nel corpo del poeta, affinché come nuovo Omero (poeta immortale) cantasse ai Latini la vicenda epica di Roma. Questo sogno, la cui ispirazione pitagorica apparve evidente, levò grande rumore nel mondo romano (anche in quello romano-cristiano: ad esempio ne parla Tertulliano nel II-III secolo d.C. in una delle sue opere più importanti, il "De anima") tanto da divenire proverbiale e a volte oggetto di lazi, come nella "Satira sesta" del poeta satirico Persio (34-62 d.C.) («A ciò esorta l'anima di Ennio, / dopo avere sognato russando di trasformarsi da pavone / pitagorico in Quinto Meònide») e nel libro secondo (1: "Ad Augusto") delle "Epistole" del celeberrimo poeta Orazio (65-8 a.C.) («Ennio, l'energico e sapiente e il secondo Omero, / come dicono i critici, non si preoccupa certo se avranno séguito / le promesse del suo sogno pitagorico»).

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale) 


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