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30 maggio 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (IXa parte)

Dalla forma aramaica (e forse ancor prima fenicia) ṭws/ṭwsʾ sarebbe poi derivato il greco antico ταώς/ταω̃ς/ταών (taós/taón; pronuncia corretta nella forma attica: tahōs e secondo alcuni starebbe per tavón) suggerendoci così che i pavoni vennero esportati in Grecia dal Vicino Oriente probabilmente dai mercanti fenici già attorno al VI sec. a.C. La data esatta della loro apparizione non è documentata però sappiamo che vennero introdotti per prima nell'isola di Samo dove questi volatili presto divennero sacri alla dea Hera (o Era, patrona del matrimonio e del parto; era sorella e moglie di Zeus e considerata quindi sovrana dell'Olimpo) ed erano custoditi nei confini del suo tempio (una delle ottave meraviglie del mondo antico: si dice che fosse quattro volte le dimensioni del Partenone di Atene) fatto costruire (in realtà il progetto era mirato alla ricostruzione dell'Heraion risalente già all'VIII sec. a.C. se non prima) da Policrate (574 circa-522 a.C.), tiranno di Samo (circa 538-522). Policrate tentò di rendere Samo una potenza regionale, instaurando alleanze con l'Egitto e altre città-stato greche. Fu in grado di creare dal nulla una potente flotta commerciale e bellica. Grazie a questa flotta riuscì ad ottenere l'egemonia sul mare Egeo, ponendo sotto tributo numerosi popoli e paesi. Numerosi furono anche gli atti di pirateria compiuti dagli ammiragli di Policrate e questa scomoda posizione sarà la causa della sua rovina per mano dei persiani: Policrate venne infatti crocifisso dai persiani che conquistarono l'isola nel 522 a.C. E' molto probabile che tra gli ingenti beni accumulati ed acquisiti attraverso il dominio dei mari (commercio con fenici ed egiziani e pirateria) da Policrate (era proverbiale per la sua ricchezza e per la sua fortuna, ricordando in questo il re Salomone anch'esso non a caso associato ai pavoni), vi fossero anche dei pavoni che vennero ben presto associati al culto di Hera (ad esempio, nelle celebrazioni del mese di Gamelione, tra il 22 gennaio e il 20 febbraio circa, dedicato ai matrimoni). Dopo aver sostituito il cuculo (Cuculus canorus) quale uccello associato alla dea, il pavone venne subito inserito nella mitologia e gli "occhi" colorati presenti sulla sua coda vennero "spiegati" associandoli al mito di Argo, gigante dai cento occhi, chiamato dai greci Panoptes ("Che vede tutto"), figlio di Arestone (o di Gea o di Inaco secondo altri) e di Micene: la maggior parte del mito su Argo è legata alla vicenda di Zeus ed Io, figlia di Inaco re di Argo e della ninfa Melia. Il gigante venne posto a guardia della ninfa Io, uno degli amori di Zeus tramutata dal dio in una giovenca per nascondere a Hera, sua moglie, la vera identità della ninfa. La dea, sospettosa di un possibile tradimento del marito, riuscì ad ottenere l'animale in dono. Zeus, infatti, acconsentì alla richiesta per fugare ogni sospetto di tradimento, ed Hera pose la fanciulla sotto la sorveglianza di Argo, che legò l'animale ad un ulivo che cresceva in un bosco sacro a Micene. Il gigante, grazie ai suoi infiniti occhi, riusciva a non dormire mai, chiudendone, per riposare, solo due per volta. Zeus, dispiaciutosi per Io, incaricò Ermes di liberarla. Quest'ultimo, camuffatosi da pastore, si avvicinò ad Argo suonando una melodia. Il gigante, affascinato dal suono, invitò Ermes a sedersi con sé. Il dio, accompagnandosi col suono, iniziò a narrare la storia di Pan e Siringa, fino a che non riuscì a fargli chiudere tutti i cento occhi. Ermes uccise il gigante addormentato tagliandogli la testa con la spada e liberò Io. Secondo Mosco, poeta bucolico greco del II secolo a.C., dal sangue di Argo morto sarebbe sorto un pavone dalla coda piena di ocelli, mentre in versioni successive si dice che Hera avrebbe trasferito gli occhi dalla testa di Argo alle penne caudali del pavone, oppure che avrebbe trasformato Argo stesso in un pavone. Stando ad un'interpretazione allegorica Io personificherebbe la luna, che vaga inquieta da un luogo all'altro, Argo, i cieli, i cui occhi stellati guardano incessantemente ogni movimento della luna, mentre Ermes è la pioggia, il cui avvento cancella le stelle una ad una, uccidendo così Argo. Questo mito ha delle evidenti analogie (e forse deriva) dal mito egizio di Argo (che ci è pervenuto però sotto forma latinizzata, con i nomi delle divinità locali adattate a quelle del pantheon romano), fratello del dio Osiride, che era stato messo dal dio a guardia di Iside quando il dio della morte e dell’oltretomba si recò in India per una spedizione. Argo, per controllare tutto ciò che avveniva, nominò cento intendenti, che furono detti i "cento occhi di Argo" e decise di proclamarsi re sequestrando la dea Iside in un castello. Mercurio venne mandato contro di lui con un grande esercito e gli tagliò la testa; in seguito Giunone lo trasformò in un pavone e trasferì i suoi cento occhi nella sua coda. Sembra che da allora gli egizi abbiano visto nelle sue penne l'emblema del malocchio interprentandoli, alla luce del mito, come l'occhio sempre desto del traditore all'interno della propria casa: vedremo più avanti come questa credenza sia sopravvisuta nel folclore europeo. In un altro mito romano, tramandatoci soltanto da una glossa a Virgilio (70-19 a.C.) di Servio Onorato (grammatico e commentatore romano del IV-V secolo d.C.), si narra un'altra metamorfosi in pavone: Erinna, una giovane di Cipro, si era accattivata, grazie alla sua purezza, l'amicizia delle dee Atena e Artemide. Ma Afrodite cercò di scatenare il desiderio di Zeus per lei. Per impedire che il fedifrago marito la tradisse ancora una volta, Hera fece in modo che la giovane venisse violentata da Adone. Zeus, irritato, uccise il violatore con un fulmine; ma, pregato da Afrodite, permise a un'ombra di Adone di tornare al mondo sotto la guida di Ermes. Dopo lo stupro Artemide trasformò Erinna in un pavone per poi restituirle sembianze umane e infine maritarla con il resuscitato Adone. In entrambi i miti la trasformazione in pavone e in particolare il tema degli "occhi" della sua coda sono associati ad amori fedifraghi e ricordano i miti indiani di Indra punito con la maledizione di essere ricoperto da migliaia di yoni poi diventate occhi (di pavone) per aver sedotto la bella moglie del Rishi Gautama, tanto che si potrebbe pensare ad una migrazione di mitemi passati assieme all'animale direttamente dall'India. Anche la rappresentazione mitica del cielo stellato ("Volto di Hera" ed epifania della Grande Dea) visto come la ruota circolare, cosparsa di tanti ocelli simili a stelle, del pavone di Hera ha evidenti rimandi indiani, come pure la simbologia del sole sfolgorante associato alla coda dispiegata e raggiante dello stesso animale. Il mitema del "pavone guerriero", invece, sembra essersi conservato nella credenza diffusa secondo la quale Hera avrebbe scelto i suoi guerrieri spedendo loro delle piume di pavone. Riferimenti ai pavoni di Samo si trovano in alcuni testi greci antichi. Ad esempio, il commediografo Antifane (388-311 circa a.C.) scrisse nel suo "Homopatrioi" ("Uomini con lo stesso padre"): «Dicono che nella città di Heliopolis / La fenice viene prodotta; la civetta ad Atene; / Le razze di colombi di Cipro di ammirevole bellezza: / Ma Hera, regina di Samo, ha, dicono, / allevato una razza dorata di meravigliosi uccelli, / il brillante, bello, appariscente pavone». Menodoto di Samo (III secolo a.C.?), inoltre, nel suo trattato "Sui Tesori nel tempio di Era a Samo" dice: «I pavoni sono consacrati a Era; e forse Samo potrebbe essere il luogo dove per prima ebbero origine e furono allevati, e da qui si diffusero all'estero nelle altre nazioni straniere, nello stesso modo in cui i galli furono originariamente prodotti in Perside e le cosiddette meleagridi [faraone] in Etolia».

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale)


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