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15 marzo 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (IIa parte)

Un detto indiano dice che il pavone ha lo strascico di un angelo, il grido di un amico, la camminata di un ladro e il dardo di un serpente (detto che ritroveremo in Occidente). Secondo una concezione popolare induista, il pavone pur sembrando bello come un angelo, ha la voce di un demone e i piedi così brutti che l'uccello è portato ad urlare ogni volta che li vede. Mentre un'altro detto indiano dice che è preferibile avere un piccione oggi che un pavone domani. Già da questi modi di dire è possibile avere un'idea approssimativa dell'importanza che questo volatile riveste nella cultura tradizionale indiana. Ma quale simbologia assunse in India il pavone (che venne/viene utilizzato nella medicina ayurvedica anche in virtù delle sue "caratteristiche simboliche")? L'etnomusicologo Schneider abbina il pavone alla nota indiana sa, corrispondente al nostro re, e spiega come sa (sadja, cioè nato dal sei) rappresenti l'origine o il totale dei sei suoni seguenti. E' il suono principe di tutti, mentre gli altri sono suoi ministri. Il corpo del liuto con il quale si suona il bordone (cioè i suoni fondamentali o dominanti di una melodia) ha la forma di un pavone che corrisponde misticamente a questo suono. Il suo nome è Esrar o liuto-mayuri, cioè liuto-pavone. Il pavone è considerato come l'animale della sera e del crepuscolo, che unisce il giorno alla notte e il cielo alla terra. E' prima di tutto un simbolo solare e ciò corrisponde allo spiegamento della sua coda a forma di ruota. Il pavone è collegato con i simboli astrali e può rappresentare il cosmo, il cielo, il cerchio, il sole o la luna (a causa della forma e del colore della coda). In India è un uccello sacro, solare, l’uccello di molti dèi, in particolare, di Buddha (che, secondo il "Maha-Mora Jātaka", si era reincarnato in un pavone d'oro in una delle sue vite precedenti) ed era considerato l'uccello reale per eccellenza (un po' l'equivalente dell'aquila in Occidente), e veniva infatti tenuto, oltre che nei templi, nei giardini privati dei rajà che con le penne realizzavano i loro stendardi: già l'imperatore kusana Kanishka (II secolo d.C.) ne fece il simbolo del suo sigillo e i Gupta (320-550 d.C.) rilasciarono diversi conii raffiguranti il pavone. Il consumo della sua carne e delle sue uova è proibito per motivi religiosi (oltre che per il fatto di ritenere la sua carne velenosa: questo è dovuto alla concezione indiana che vuole il pavone cibarsi di animali e piante velenose che assorbe con il suo corpo e le sue penne che sono di conseguenza così colorate e belle) a induisti e buddisti come già stabilito nel "Mahābhārata" ("La grande storia di Bhārata"), uno dei più grandi poemi epici dell'India e uno dei testi più importanti della religione induista, nel capitolo 13, l"Anushasana Parva" ("Libro degli insegnamenti", Sezione CIV): «La carne di capre, di vacche, e il pavone, non dovrebbero mai essere mangiati». Le penne, inoltre, che vengono ampiamente utilizzate in India per la realizzazione di ventagli ed altri oggetti decorativi di elevato valore religioso e magico-apotropaico, secondo la legge e la tradizione, possono essere prelevate dall'animale solo se cadute dopo la muta autunnale, eppure, sembra che questo non abbia fermato l'uccisione su vasta scala (specie di esemplari selvatici) che vengono cacciati illegalmente solo per il piumaggio rivenduto su tutto il mercato nazionale. Il motivo del pavone è diffusissimo nell'architettura templare, negli antichi conii, nelle arti tessili e continua ad essere utilizzato in molti oggetti utilitari o artistici moderni. Disegnare le sue ali, che ricordano molti occhi, nella mitologia indiana, rappresenta l'immagine di un cielo stellato. Prima ancora che nell'induismo, il pavone sembra fosse presente nelle religioni animiste e totemiche indigene e ne possiamo trovare ancora delle tracce tra le popolazioni tribali indiane. Il clan Mori della tribù Bhil dell'India centrale, ad esempio, venera il pavone come totem, e crede che se qualcuno dei suoi membri dovesse passare sopra le tracce lasciate da questo fasianide presto si ammalerà; le donne Mori, inoltre, si nascondono la faccia se vedono un pavone. Anche la comunità Jat dell'India settentrionale venera quale sacro totem il pavone e l'uccello è sacro anche per le tribù Ahir e Khand, mentre i Koyi del giume Godavari nell'Andhra Pradesh legano penne di pavone a Sitalamata (anche nota come Mariamma), la dea induista del vaiolo. I membri della tribù Warli del Maharashtra fissano penne di pavone su un vaso per rappresentare il loro dio Hirva, e danzano attorno ad esso. More, inoltre, è il nome totemico di un clan del Maharashtra derivato dalla parola more che significa "pavone" in marathi. Nel villaggio di Morachi Chincholi, che vuol dire in marathi "villaggio dei tamarindi e dei pavoni danzanti", si trovano tantissimi pavoni (circa 2500 in questa regione) grazie alla protezione "sacrale" accordatagli dagli abitanti del villaggio. In Nepal, inoltre, gli jankhri, gli sciamani di tradizione jhankrista (pre-induista e pre-buddhista), che svolgono un ruolo molto importante nella vita rurale nepalese, sono capaci di unirsi in trance con il mondo "invisibile" e durante i loro rituali di guarigione, oltre a suonare il tamburo, indossano un copricapo fatto con le penne della coda di pavone.

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale)

 


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