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01 marzo 2012
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE (Ia parte)

Qual è l'origine del pavone (Pavo cristatus)? Per rispondere a questa domanda è sufficiente compiere una serie di indagini etimologiche e storiche. Originario delle foreste tropicali decidue (secche) e di quelle umide del subcontinente indiano (in genere ad un'altitudine inferiore ai 1800 m. sebbene in rari casi sia stato osservato a circa 2000 m.) e delle aride pianure dello Sri Lanka, questo appariscente fasianide si è adattato, man mano che proseguiva l'espansione dell'agricoltura fin dall'epoca neolitica, a vivere quale specie filantropa nelle regioni coltivate e intorno alle abitazioni umane, dove trovava cibo (semi, insetti e rettili nelle vicinanze delle aie e dei campi coltivati) e acqua. Il Pavone crestato è infatti un onnivoro: trova gran parte dei suoi alimenti a terra, dove raccoglie ogni sorta di gemme, foglie, bacche ed erbe e si avventura anche nei campi appena lavorati, dove cattura facilmente i numerosi insetti disturbati dall’aratro. Attacca anche diversi animali quali piccoli roditori, lumache, vermi, molluschi che va a ricercare nei corsi dalle acque calme. Capita che si avventi perfino sui serpenti, anche su quelli velenosi, come il temibile cobra indiano (Naja naja) che uccide colpendoli al capo con un solo colpo ben assestato del robusto becco. Tuttavia è molto prudente, perché del cobra stermina soprattutto i giovani esemplari ma non si misura con gli adulti di notevoli dimensioni. E’ comunque sufficiente la sua presenza per tenere lontani questi pericolosi serpenti e di questo gli indiani gli sono sempre stati grati. Cattura anche una buona parte di insetti arboricoli arrampicandosi sugli alberi e ne approfitta così per mangiare i diversi frutti maturi che incontra al suo passaggio. Ogni sera, inoltre, i nuclei familiari (poligami) del pavone si riuniscono per trascorrere la notte tra le fronde degli alberi (o sui tetti delle abitazioni) e riuniti nel loro “dormitorio” si proteggono a vicenda montando a turno la guardia contro gli sconosciuti. Al minimo segno di pericolo (ad esempio l'avvicinarsi di una tigre o di un leopardo), la foresta risuona delle loro potenti grida di allarme risultando così molto utile anche all'uomo. Per via della sua utilità quindi, oltre che per la sua bellezza e per i forti elementi simbolici che richiama alla mente, piuttosto che per le uova e le carni (entrambe vietate dai canoni induisti), presto il Pavo cristatus venne domesticato in tutta la regione indiana (in India è stato designato uccello nazionale dal 1963). Secondo alcuni studiosi, la domesticazione dell'animale iniziò già nell'epoca precedente le invasioni indo-arie (forse già a partire dalla civiltà della valle dell'Indo - durata all'incirca dal 2600 al 1900 a.C. -, dal momento che sono stati ritrovati pavoni dipinti sulle urne funerarie dell'epoca) tanto che queste avrebbero preso dalle lingue dravidiche uno dei termini attualmente indicanti il pavone: da un proto-dravidico *may-Vr, infatti, sarebbe derivato il sanscrito mayūra (menzionato nel "RigVeda"); secondo un'altra interpretazione le voci mayūra e maraka sarebbero passate al sanscrito dalle lingue munda (famiglia austro-asiatica) e deriverebbero da rak "gridare, piangere" (presente nella lingua santhali, e indicante, in questo caso, il richiamo del pavone simile al grido di un bambino), da cui deriverebbe anche il termine raga/ragni "modi musicali (della musica indiana)". Attualmente nel tamil (una delle moderne lingue dravidiche) abbiamo myil e mayūram di cui il primo di diretta derivazione dravidica, mentre il secondo probabilmente re-introdotto in questa forma dal sanscrito o meglio da forme posteriori a questo. Dal vedico mayūra è derivato il pāli (la lingua vernacolare parlata anticamente in India e rimasta nella liturgia del Buddhismo Theravāda) mayūra e la forma contratta mora: da queste forme di pracrito (ad esempio maūra- e maūla) sarebbero poi derivati l'hindi mayu:r e mor, l'urdu mor (poeticamente anche morā e murlā), il sindhi moru, il punjabi mor, il kashmiri mōr, il nepali mayūr e mujur, il marathi mayora e mora e il pashto mor e mʿyawr (che non è una lingua indo-aria ma iranica). Un altro termine invece molto diffuso nelle lingue indo-arie per indicare l'animale e il suo richiamo è l'onomatopeismo kēkā che tradurrebbe il caratteristico paupulare di questo animale che è un grido acuto (risuona a grande distanza nella foresta e nel silenzio della notte lo si può udire anche nel raggio di distanza di un km) lanciato in genere dal maschio la mattina presto o verso sera e molto simile ad un grido umano: nel sanscrito, il richiamo kēkā e keka sarebbe poi passato nella forma kekin ad indicare sineddocamente l'intero animale. Lo stesso termine lo ritroviamo attualmente tanto nelle moderne lingue indo-arie (ad esempio il bengalese kēkā "richiamo di pavone", il nepali kekā, l'urdu kekī) quanto in quelle dravidiche (ad esempio il tamil kēkā "richiamo di pavone" e kēkayam "pavone", e il telugu kēka "forte grido", kēkāravamu "richiamo di pavone" e kēki "pavone") e in questo caso, in mancanza di dati ulteriori, potrebbe trattarsi tanto di un prestito dal sanscrito al dravidico quanto l'inverso.

(continua nel prossimo articolo...)

Marco Miosi (antropologo culturale)


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