Un’indagine della Cia sui neo-imprenditori della terra, presentata in occasione del convegno con il ministro Fornero, descrive un fenomeno nuovo che attraversa il settore: si moltiplicano le giovani aziende guidate da professionisti di ogni tipo, da insegnanti a ingegneri, da agronomi ad avvocati. Tra i più titolati, il 73 per cento ha rilevato l’azienda di famiglia. Ma c’è anche chi (21 per cento) è estraneo all’agricoltura per tradizione e formazione ma opta per la vita dei campi per colpa della crisi (45 per cento) o per scelta di vita (33 per cento). E le loro aziende sono le più multifunzionali.
Giovani, intraprendenti e laureati: le “nuove leve” dell’agricoltura italiana hanno in molti casi dei curriculum invidiabili, e negli ambiti più disparati. Spesso infatti, a scommettere sul settore primario sono ingegneri, insegnanti, avvocati, architetti, geologi, e chi più ne ha più ne metta. Nonostante la scarsità di “turn over” nelle campagne italiane, dove la presenza di “under 40” è ferma all’8 per cento, cresce in modo esponenziale il tasso di scolarizzazione della categoria, tanto che oggi tra gli imprenditori junior delle campagne uno su tre ha un titolo di studio elevato, dal diploma in su. Lo rileva la Cia-Confederazione italiana agricoltori, sulla base di un’indagine effettuata sul territorio nazionale, presentata in occasione del convegno “Il contributo dell’agricoltura per la riforma del Lavoro e la crescita”, con la partecipazione del ministro Fornero.
Andando ad analizzare questo 30 per cento, ci si accorge che tra i nuovi “dottori” dell’agricoltura -spiega la Cia- il 73 per cento ha rilevato l’azienda di famiglia. Ma solo in 4 casi su 10 si tratta di agronomi o di periti agrari, quindi di figli di agricoltori che si sono costruiti un curriculum “ad hoc” per rimanere in azienda. Molti di più, invece, (60 per cento) sono quelli che hanno percorso altre strade di formazione ma poi, complice anche la crisi, hanno preferito “non lasciare la strada vecchia per quella nuova”, rimanendo all’interno dell’attività di famiglia, ma reinterpretando la realtà aziendale in senso nuovo e reinventando radicalmente almeno un aspetto fondamentale dell’impresa, dalla fase produttiva a quella distributiva.
Oltre ai “figli d’arte”, che sono la stragrande maggioranza del totale, c’è una piccola fetta di agronomi ed enologi, rappresentata dal 6 per cento del campione, che decidono di investire in agricoltura, pur non avendo un’attività familiare da cui partire. Ma la vera novità -sottolinea la Cia- è costituita dal restante 21 per cento: si tratta di giovani completamente estranei all’agricoltura, sia per tradizione che per formazione, che per motivi diversi decidono di “mollare” con il percorso precedente, voltando pagina e scegliendo la campagna.
Alla base di questo fenomeno nuovo che sta attraversando il settore -sottolinea la Cia- ci sono più fattori. Quasi il 45 per cento di questi imprenditori junior decide di investire in agricoltura dopo esperienze lavorative concluse negativamente nei comparti più vicini alla propria preparazione. Il 33 per cento dichiara di aver scelto l’agricoltura più per la qualità della vita dell’ambiente agricolo che per le reali prospettive offerte dal settore. Mentre il restante 22 per cento è stato coinvolto nella scelta da amici e conoscenti, con cui poi ha iniziato l’esperienza lavorativa in azienda.
Ma di questi nuovi imprenditori dell’agricoltura, qualunque sia il motivo predominante della scelta di lavoro, un elemento resta predominante: in otto casi su dieci sono stati aiutati dalla famiglia nella fase di “start-up” aziendale, per l’acquisto della terra (65 per cento), per i macchinari (45 per cento) e per la burocrazia di partenza (56 per cento).