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08 maggio 2012

PERCHÉ LA STRETTA DEL CREDITO SULLE IMPRESE È UN ERRORE PER LE BANCHE

La debolezza del mercato sta creando problemi seri alle piccole imprese. L' indagine Bce/Ue pubblicata il 27 aprile scorso mette in evidenza che, nel semestre da ottobre 2011 a marzo 2012, il 47% di quelle italiane ha subìto una riduzione di fatturato, contro il 24% delle francesi e il 15% delle tedesche. Secondo il rapporto Unioncamere presentato tre giorni fa, nel 2011 in Italia sono entrate in procedura concorsuale più di 14 mila aziende industriali e di servizi con un aumento del 27% rispetto al 2009. Ancorché in crescita di numero, le imprese a rischio di fallimento restano in quantità limitata, trattandosi del 7% appena di quelle che nascono in media in un anno (circa 190 mila). Nei primi tre mesi del 2012 il saldo tra iscritte e cancellate dai registri camerali è stato negativo di 26 mila unità, a valere su una consistenza complessiva di aziende che supera i sei milioni. Ma i fenomeni che più preoccupano sono l' illiquidità e il razionamento del credito. La centrale dei rischi della Banca d' Italia segnala alla fine dello scorso anno crediti bancari in sofferenza per 104 miliardi di euro. Rispetto al giugno 2009 sono più che raddoppiati. È curioso osservare che, in proporzione, le sofferenze sono aumentate maggiormente nelle classi di fido più elevate (nell' area del «too big to fail», per intenderci): le difficoltà nei fidi superiori a 25 milioni di euro sono il 161% in più rispetto a due anni e mezzo fa; in quelli inferiori a 125 mila euro la variazione è stata invece della metà (81%). Ma nella piccola dimensione queste difficoltà portano più spesso al fallimento. Difatti, secondo l' indagine europea citata sopra, negli ultimi sei mesi le banche italiane hanno respinto il 23% delle domande di credito provenienti dalle microimprese (in Germania e Francia la quota è tra il 10 e il 13%); solo il 44% ha ottenuto quanto chiesto (77% in Francia e 61% in Germania). Opportunamente, il 28 febbraio scorso è stato riesumato l' accordo per la moratoria dei crediti verso chi ha buone prospettive pur essendo a corto di cassa. Vedremo l' impatto di questo provvedimento, ma è sicuro che in Italia esista un uso troppo spinto del credito bancario. L' obiettivo più importante è quindi ridurre tout-court i bisogni finanziari che sono esasperati dai troppo lunghi tempi di pagamento. Le amministrazioni pubbliche hanno certamente una parte della colpa; ma il grosso del problema sta nelle transazioni tra grandi e piccole imprese. Nell' industria e nella grande distribuzione i piccoli fornitori sono storicamente soggetti alle dilazioni imposte dai grandi clienti e quei tempi lunghi si propagano poi all' intero sistema gonfiando i fabbisogni per il finanziamento del circolante. I francesi hanno già rimediato emanando una legge che dal 2009 fissa a 60 giorni la dilazione massima. I calcoli sulle medie imprese segnalano che i tempi medi di incasso dei crediti in Germania sono di un mese e mezzo, contro gli oltre quattro in Italia. Nel marzo del prossimo anno entrerà in vigore la nuova direttiva comunitaria che conferma i termini massimi a 30 e, in alcuni casi, 60 giorni, ma con interessi di mora automatici al tasso superiore di otto punti a quello della Bce. Se le dilazioni si adeguassero, le medie imprese italiane avrebbero un minor bisogno di credito di circa 11 miliardi di euro riducendo del 40% l' esposizione a breve verso le banche e con essa anche i rischi di default prodotti dalle richieste di rientro. Riusciremo a cambiare realmente regime?

Fonte: corriere.it - Fulvio Coltorti