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30 novembre 2011
"‘N’arvirèttu chiantài allu miu giardinu": un canto d'amore salentino

‘N’arvirèttu chiantài allu miu giardinu

‘n’arvirèttu chiamàtu primu amore

cu’ miei sutòri lu vuèsi ‘ndacquare

an capu te l’annu me cacciàu ‘nu fiore.

‘Ddu fiore nu’ lu vuèsi mai tuccare

sola me la cutìa la bella ndore

quandu andài lu fiore pe’ picchiàre

‘n’àutru se’cchiu te intra, ìèu te fore

ìnne ‘nu cane neru senza cuta

me nde cacciàu a me lu tantu amatu.

(Piantai un alberello nel mio giardino / un alberello chiamato primo amore / volli annaffiarlo con il mio sudore / e in capo a un anno ne sbocciò un fiore. / Quel fiore non lo volli mai toccare / solo me ne godevo il buon odore / Quando andai per prendere il fiore / un altro si trovò di dentro e io di fuori / venne un cane nero senza coda / e cacciò via me, tanto amato).

Questo canto d'amore salentino appartiene al genere dei canti lirico-monostrofici che, data la loro struttura, si prestavano a vari momenti di utilizzazione, sia legati a situazioni di svago che ad attività lavorative. Tutti i canti in realtà rifluivano nel mondo del lavoro, specie in quello contadino, dove senza distinzioni, canti nati in funzione di circostanze particolari venivano poi intonati sui campi e adattati alle esigenze aggregative, simboliche, magiche che il mondo del lavoro assegnava loro. Come è possibile notare in questo canto di Terra d'Otranto, è riconoscibile il legame «Eros-Narura», che trova nel mondo contadino le più varie soluzioni espressive: l’associazione donna-albero è molto frequente, perché l’albero rappresenta l’emblema femminile della fecondità.

Marco Miosi (antropologo culturale)

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