LA SITUAZIONE ATTUALE

Il patrimonio ovino italiano è costituito da circa 12.000.000 di capi ed è rappresentato, per circa il 5l % da razze specializzate per la produzione del latte (Sarda, Comisana, Massese, Delle Langhe, Altamurana, Leccese); da ciò deriva il notevole interesse rivolto verso questi tipi genetici dagli allevatori e dagli organismi tecnici, e politici, impegnati nella gestione della zootecnica nazionale. Va comunque segnalato che esiste un'altra parte della popolazione ovina italiana caratterizzata da altre attitudini; si possono infatti riscontrare alcune razze “da carne" quali: Appenninica, Barbaresca, Bergamasca, Biellese, Fabrianese, Laticauda. Altri tipi genetici, inoltre, una volta assai diffusi ed utilizzati per la triplice attitudine (latte, lana, carne), considerata la loro scarsa produzione di latte ed il basso valore di mercato della lana, vengono oggi allevati prevalentemente per produrre carne, si tratta delle razze merinos-derivate, segnatamente "Sopravissana" e “Gentile di Puglia", la cui numerosità, negli ultimi decenni, si è contratta in misura notevole. A questi soggetti che, nel loro insieme, costituiscono il 10% del patrimonio ovino nazionale, vanno aggiunti circa 4.500.000 di capi, non ascrivibili a nessun tipo genetico, risultato di incroci effettuati, per lo più senza alcune guida tecnica, dagli allevatori nella ricerca di combinazioni genetiche economicamente più favorevoli. Tale popolazione polimeticcia non risponde ad alcuna tipologia ben definita nè, tantomeno, ad alcuna particolare attitudine. Sul fronte della carne si assiste a una progressiva ripresa della produzione: da 36.000 tonnellate (nel 1961) a 58.000 (nel 2003). Ma su scala mondiale, contrariamente alla produzione di latte, l'Italia occupa un posto molto arretrato nella classifica, il 33°. Questo comparto vede invece protagonisti la Cina, con 1.695.000 tonnellate di carne d'agnello prodotte nel 2003, l'Australia (597.000) e la Nuova Zelanda (547.000). Primo paese a livello europeo è il Regno Unito che, con le sue 317.000 tonnellate, occupa il quinto posto nella classifica mondiale. La Cina è il produttore più importante, ma consuma internamente pressoché tutta la produzione (nel 2002 ha esportato appena 2.000 tonnellate). La grande quantità di carne di agnello che arriva sul mercato europeo (nel 2002 quasi 400.000 tonnellate) proviene invece da Nuova Zelanda e Australia. (Dati Fao relativi all'anno 2003, la rilevazione si riferisce al dato aggregato di agnelli e montoni) La produzione della carne ovina nel nostro Paese deriva per il 70 % dalla macellazione degli agnelli, per il 20%, circa, da agnelloni e castrati, e per il restante 10% da animali a fine carriera. Si tratta, quindi, in prevalenza di agnelli di modesto peso vivo alla macellazione (10 kg in media per capo), caratteristica che differenzia il mercato italiano da quello dei Paesi della UE nei quali prevale la produzione di agnelloni di peso vivo più elevato. In particolare, la situazione italiana dipende da vari fattori, tra cui principalmente il regime dei prezzi che privilegia nettamente la carne di agnello leggero e l'importanza dell'allevamento ovino indirizzato verso la produzione del latte. Quest'ultimo aspetto comporta, da un lato, la convenienza per l'allevatore a disfarsi dell'agnello prima possibile (in modo da ottenere la massima produzione di latte vendibile) e, dall'altro, la disponibilità di animali geneticamente poco adatti alla produzione di carcasse di peso elevato (perché, appunto, derivanti da pecore di razze da latte). Al pur auspicabile incremento del peso medio di macellazione degli agnelli si oppongono anche cause di fondo legate alla struttura dell'allevamento ovino nazionale. Ciò, nonostante la possibilità di impiegare moderne tecnologie di allevamento, di alimentazione e di riproduzione che potrebbero fornire un contributo risolutivo nel triplice obiettivo di migliorare la utilizzazione del potenziale di accrescimento disponibile, di incrementare il reddito di impresa e di diminuire il deficit nazionale per tale comparto (stimato intorno al 30%, nonostante il modesto consumo annuo per abitante di carne di ovini e caprini).

Disponibilita', Produzione, Importazione

Il prodotto nazionale copre appena il 50 % della disponibilità. La produzione prevalente (70 %) è data da razze da latte ed incroci ed è concentrata in cinque Regioni: Sardegna, Sicilia, Lazio, Umbria, Toscana; gli agnelli sono di alto pregio e molto richiesti dal mercato: macellati a 30-40 giorni vengono alimentati solo con latte materno; il peso della carcassa con testa e corata non supera i 9/10 Kg. I soggetti di derivazione merinos, Ile de France, ecc., sono presenti in Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Campania e rappresentano il 15 % del prodotto nazionale con tendenza alla flessione; le carni sono di qualità, ma il grasso è in eccesso; gli agnelli vengono macellati a 35-60 giorni ad un peso carcassa di 10-14 Kg. Le razze da carne (appenninica, bergamasca ed incroci vari) diffuse nel Centro-Nord della penisola incidono per il restante 15 per cento ed i giovani soggetti vengono macellati oltre i 100 giorni ad un peso-carcassa di 20-30 Kg. L'età matura e la prevalente alimentazione erbacea e foraggera conferiscono alle carni caratteristiche di gusto gradite ad una parte di consumatori; altri invece le trovano dure e tigliose se cotte ai ferri. Dal lato nutrizionale ovviamente trattasi di alimento pregiato perché molto ricco di proteine, sali minerali, ferro e povero in grassi. Queste carni sono ancora gradite nel Centro Italia e in genere nei paesi di provincia, mentre le città del Nord che ne erano tradizionali consumatrici ora si orientano verso l'agnello da latte; a Roma come nel Sud e nelle Isole, il prodotto pesante non ha mercato. Trattasi certamente di un discutibile "stile" alimentare poiché l'agnello pesante viene consumato con successo in tutto il mondo. In linea teorica si potrebbe affermare che se il consumatore fosse meno esigente, si potrebbe prolungare la vita dei soggetti oltre i 100 giorni incrementando così la produzione di carne; di conseguenza l'Italia anziché importare potrebbe esportare carni ovine. La realtà zootecnica però ha proprie esigenze correlate soprattutto alle attitudini produttive: nei soggetti di razze da latte “sarda” e “comisana” in particolare, dopo i 40 giorni di vita diminuisce la “resa” in parti edibili (carne) a tutto vantaggio della produzione di grasso. Ne è ipotizzabile un cambiamento di razze giacché le particolari condizioni orografiche ed ambientali del Meridione e delle Isole in particolare, non renderebbero economicamente possibile 1'allevamento ovino con linee genetiche diverse e più esigenti. Circa l'indirizzo produttivo, solo il 10 % dei greggi è allevato in stabulazione permanente; tra quelli depascenti, il 65 % è stanziale (Sicilia, Sardegna, Abruzzo in parte) ed il 35 % è ancora interessato alla monticazione stagionale.
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